Amiche e amici di BiviTime, me lo avete chiesto in molti ed oggi parleremo delle differenze tra birra industriale e birra artigianale; non entrerò troppo nel dettaglio in alcuni argomenti che magari approfondiremo in altri post. Per la legislazione italiana, innanzitutto, una birra per essere denominata artigianale non deve essere ne pastorizzata e ne filtrata.
Questi due processi porterebbero infatti all’eliminazione dei lieviti dalle bottiglie: nelle birre industriali ciò porta alla limpidezza della birra ed al suo mantenimento costante nel tempo in termini di gusto e aspetto; nelle artigianali, invece, il lievito in bottiglia è necessario non solo alla carbonazione (rifermentazione in bottiglia) ma anche ad una evoluzione nel tempo del gusto della birra in quanto il lievito è un organismo vivente.
La pastorizzazione, inoltre, portando la birra ad una temperatura elevata (sebbene per pochi secondi) va a disattivare molte delle componenti che hanno un’azione positiva sul nostro organismo; ad esempio, il luppolo contiene molti polifenoli e flavonoidi (tra cui lo xantumolo) che sono in grado di inibire la proliferazione delle cellule tumorali. Per non parlare poi del lievito stesso che è una fonte naturale di vitamina B2. Da questo ci è chiaro che proprietà organolettiche sono maggiori nelle birre crude rispetto a quelle pastorizzate.
Birra Artigianale vs Birra Industriale
Altra differenza non meno importante è la quantità di birra prodotta dal birrificio annualmente; si sa che, spesso, maggiori sono i volumi prodotti e minore sarà anche la qualità delle materie prime: nelle birre industriali molto spesso vengono usati dei succedanei ad integrazione del malto d’orzo. Questo ingrediente è il più abbondante (subito dopo l’acqua) ed è fondamentale per fornire gli zuccheri necessari alla fermentazione; a causa delle ingenti quantità, però, il prezzo tende ad aumentare e le industrie ricorrono all’uso di zucchero, sciroppi o di altri cereali come riso e mais (spacciandoli per ingredienti di lusso come nel caso del mais Nostrano) quando invece sono mezzi per risparmiare. Lo stesso discorso vale per il luppolo, l’ingrediente più costoso, che a volte viene sostituito da estratti amaricanti.
Da ciò che ho detto si potrebbe concludere che le birre artigianali siano qualitativamente migliori di quelle industriali ma questa affermazione è comunque da prendere con le pinze: purtroppo esistono in commercio delle birre artigianali che qualitativamente parlando possono risultare peggiori di quelle industriali. I motivi possono essere svariati: da scorrette pratiche di produzione, conservazione e gestione del prodotto finito, dal fatto che molti (per cavalcare il trend) si improvvisano birrai senza saperne nulla sia di biochimica che tantomeno di birra, oppure perché magari, giocando con ingredienti strani od esotici, escono degli abomini che non berrebbe nemmeno Shrek nella sua palude.
Attenzione poi al fenomeno “Crafty”. Le multinazionali della birra, vedendo il gran successo delle artigianali nel mondo, ha voluto copiare alcune delle caratteristiche delle concorrenti per immettere nel mercato dei loro prodotti scimmiottandoli per artigianali: dal packaging minimal o accattivante, dagli slogan con ventordici luppoli, con diciture quali “non filtrata” o ricopiando gli stili di maggior successo tra le artigianali.
Ma ora basta scrivere, è arrivato il momento di aprire e godermi una bella Sincira, di cui sono sicuro della sua bontà, sia in termini gustativi che in termini di artigianalità: non mi lascerà mai con delle brutte sorprese.
It’s #BiviTime!!